Quando il problema non è lo schermo: riconoscere il disagio dietro l’abuso di tecnologia

Casi complessi, segnali da osservare e quando è il momento di chiedere aiuto

“È sempre nervoso, e l’unico momento in cui si calma è quando ha il telefono.”
“Si chiude in camera per ore con il tablet, non vuole più uscire.”
“Non riesce a smettere nemmeno per mangiare o dormire.”

Ci sono situazioni in cui l’uso eccessivo della tecnologia non è il vero problema, ma il rifugio da qualcosa di più profondo. In questi casi, non basta togliere lo schermo, né ridurre il tempo: bisogna guardare più in là, con attenzione e sensibilità.

Credits: Freepik

Tecnologia come sintomo, non come causa

Quando un bambino o un ragazzo si rifugia negli schermi in modo compulsivo, spesso sta cercando:

  • un modo per anestetizzare emozioni difficili,
  • una via di fuga da situazioni dolorose o stressanti,
  • un modo per sentirsi competente o riconosciuto,
  • una zona sicura dove non dover affrontare giudizi, ansie, solitudini.

Lo schermo, in questi casi, diventa un rifugio. Ma anche una prigione.

I segnali che indicano un disagio più profondo

Oltre all’uso eccessivo, osserva:

  • ritiro sociale: evita amici, attività, famiglia
  • alterazioni del sonno e dell’appetito
  • calo dell’autostima o del rendimento scolastico
  • episodi di rabbia intensa o tristezza marcata
  • apatia, perdita di interesse per ciò che prima piaceva
  • chiusura al dialogo o segreti legati all’uso degli schermi

Questi segnali non vanno ignorati. Non per creare allarmismo, ma per prendersi cura.

Quando è il momento di chiedere aiuto?

Chiedere aiuto non significa essere inadeguati come genitori, ma fare un passo responsabile e amorevole.

È il momento di consultare un professionista (psicologo, neuropsichiatra, educatore) quando:

  • l’uso dello schermo interferisce con la vita quotidiana,
  • il bambino/ragazzo non riesce a smettere da solo,
  • ci sono segnali di sofferenza psicologica persistente,
  • ogni tentativo familiare si scontra con crisi intense o rifiuti totali,
  • si sospetta che dietro ci siano altre problematiche (bullismo, ansia, depressione, difficoltà relazionali).

Cosa può fare un genitore in questi casi?

  • Non ridurre tutto alla tecnologia: chiedersi “di cos’altro ha bisogno mio figlio in questo momento?”
  • Essere presenti, senza invadere: creare uno spazio emotivo sicuro
  • Evitare il giudizio: anche se la tentazione è grande, la colpa isola
  • Cercare alleanze educative: con insegnanti, altri adulti di riferimento, specialisti
  • Affrontare il tema come un percorso di cura, non di punizione

Il ruolo fondamentale della relazione

Quando il disagio è profondo, non servono nuove regole. Serve un nuovo ascolto.
Serve dire, con i gesti prima che con le parole: “Ci sono. Ti vedo. Possiamo farcela insieme.”

La tecnologia può diventare un modo per chiudersi, ma anche l’occasione per aprire uno spiraglio di dialogo, se si affronta senza rigidità e con uno sguardo attento.

Nel prossimo articolo concluderemo il percorso con uno sguardo d’insieme, raccogliendo i principali strumenti e riflessioni condivisi, e offrendo una visione positiva e concreta per costruire un rapporto sano con la tecnologia, dentro e fuori la famiglia.

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